La semplicità del cuore e della vita per fare spazio a Dio

Alcuni passi della prima relazione – La semplicità del cuore e della vita per fare spazio a Dio – tenuta da Mons. Angelo Riva, Vicario episcopale per la pastorale, della diocesi di Como

 


Una caratteristica dei santi

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Mons. Angelo Riva (a destra) con il Vescovo di Como, S.E. Mons. Diego Coletti

… Un santo scocca sul quadrante della storia nel momento giusto, provvidenziale. I santi non sono perfetti sotto ogni aspetto, ma la provvidenza di Dio li suscita al momento giusto. E proprio per questo i santi sono provvidenziali, direi: sono medicinali, terapeutici, per i nostri bisogni, le nostre angosce, le nostre difficoltà; adatti al tempo in cui vivono, nel senso che sanno raccogliere i germi positivi, i famosi “segni dei tempi”, e al tempo steso sanno contrastarne gli effetti negativi.

Ebbene, anche Anna Maria, penso, è così; non era perfetta; lungi da noi l’idea di farne un quadretto oleografico. Chiaramente nella sua vita c’è stato il limite, il peccato, la fatica, la difficoltà, lo scontrarsi con la “creaturalità”. Però, ecco, io l’ho trovata, leggendola, conoscendola, profondamente provvidenziale, cioè tempista, medicinale per tante cose che viviamo ai nostri giorni. In particolare, la sua testimonianza di fede, la sua testimonianza sull’amore, l’amore coniugale, materno, fraterno, ecclesiale, la sua testimonianza sulla famiglia e sul matrimonio è quanto mai adatta e provvidenziale per la temperie culturale che viviamo. Provvidenziale di fronte alle molteplici derive disgregatrici che oggi aggrediscono l’amore coniugale, il matrimonio e la famiglia.

E vorrei tratteggiare due aspetti, rispetto ai quali, appunto, mi sembra, Anna Maria è venuta al momento giusto ed è terapeutica per l’aria che respiriamo e le esperienze che viviamo. I due aspetti sono: la semplicità della fede e la tenacia dell’amore. 

La semplicità della fede

… la testimonianza di Anna Maria è anzitutto la testimonianza di una grande fede, di una vita personale e poi matrimoniale e familiare fondata sulla fede, radicata sull’azione della grazia, pervasa di preghiera. E questo è bello vederlo in lei fin dai primi passi del fidanzamento; dai suoi scritti emerge limpida la percezione che il matrimonio, prima di essere una scelta, è un progetto, un disegno di Dio, di Dio; è una vocazione, è la risposta a un’iniziativa preveniente. Nella lettera di fidanzamento, scritta da Anna Maria nell’agosto del 1959 emerge bene questa cosa: ci mettiamo insieme – scrive a colui che sarà poi suo marito – per la volontà di Dio, (oltre che perché ci siamo conosciuti, ci siamo piaciuti, ci siamo incontrati). Questa è la radice. Scrive Anna Maria: «Se tu dovessi accorgerti ad un certo momento che io non sono fatta per te, spero che anche allora, pur nella disperazione, avrei la forza di dire: “Sia fatta la tua volontà”». Qui lo dice in negativo: se le cose non funzionano, sarà la volontà di Dio, ma volgiamolo in positivo: se le cose funzioneranno, sarà la volontà di Dio. Questa è la radice.

Ego et tu, tertius erit amor, Christus Iesus. Io e tu, terzo sarà l’amore, Cristo Gesù. Questa massima, tratta da un non meglio precisato autore medievale e ascoltata da Anna Maria nel periodo del fidanzamento, ha sempre scandito la dimensione soprannaturale del suo cammino. Io e tu; e poi il terzo sarà l’amore, Cristo Gesù…

Il rapporto con Dio: la preghiera è stata nella vita di Anna Maria la chiave di volta determinante. È limpido il suo insegnamento su questo punto. E lasciatemi dire: è utile, soprattutto per noi, che (anche noi preti) presi nella tenaglia dello stress, dell’incalzare dei quotidiani impegni, spesso diciamo:

«Non ho tempo, non ho tempo di pregare, non ho tempo». Per Anna Maria, invece, lo dice chiaramente, “con la preghiera il lavoro rende di più, meglio e più in fretta” (pag. 119). Con la preghiera, il lavoro, le faccende, gli impegni, l’incalzare delle cose – ovviamente voi che siete coniugati sapete bene che cosa vuol dire – tutto questo è come oliato, come un motore che gira bene; si fa meglio e più in fretta. E sappiamo che questa non era un’affermazione generica, sappiamo che può anche essere quantificata: due ore al giorno per la preghiera, salta fuori da una testimonianza, un’annotazione fatta dalla stessa Anna Maria su invito di un quaresimalista…

icona_famigliaIl 2 agosto 1962, tre mesi dopo le nozze, due giorni prima della partenza per le ferie col marito Paolo e una coppia di amici, si fa un programmino per la vacanza (uno dice: la vacanza… speriamo di prendere tutto, di non dimenticare niente, di trovare l’albergo…). Questo invece è il suo programma: «Soprattutto in questo periodo in cui Paolo ed io siamo ancora soli, voglio approfittare del tempo libero per avanzare nella mia formazione spirituale. Mezzi a mia disposizione: la S. Messa quotidiana, la meditazione, il S. Rosario, l’offerta di tutto il mio lavoro quotidiano a Dio per la sua gloria ed il mio perfezionamento. In questo modo conquisterò sempre più la gioia vera. Dare la gioia, diffondere la gioia. Ecco il tema per le ferie. Cercare innanzi tutto di possedere sempre la gioia, come ho detto poco sopra, gioia che è pace della coscienza, presenza viva di Gesù nel mio cuore, colloquio continuo con Lui. E quindi dare la mia gioia a Paolo, ad Adriana, a Carletto, a tutti quelli che avvicinerò. Oggi pregherò in particolare la Madonna perché durante le ferie Paolo ed io possiamo vivere insieme una intensa vita spirituale, meditando e ricevendo l’Eucaristia con frequenza. Partecipare della pienezza della vita divina, vibrare in ogni momento insieme a Gesù, in modo che nel mio cuore non si possano insinuare – anche se subito respinti – pensieri impuri. ».

Ecco. La semplicità della fede, base del cammino della vita personale e matrimoniale. La fede e quell’umiltà tersa e trasparente, quella semplicità del cuore che davvero crea lo spazio per Dio. Se è vero, come è vero, che la prima e fondamentale beatitudine evangelica è la povertà di spirito, e se è vero, come è vero, che Dio resiste ai superbi, ma dà grazia agli umili.

La tenacia dell’amore

Ma c’è un secondo profilo di “tempestività” della testimonianza di Anna Maria e lo chiamerei la tenacia dell’amore, cioè l’amore vissuto come scelta, forte. Le incertezze attuali della famiglia si stagliano nel crepuscolo del passaggio dal codice istituzionale al codice affettivo; cioè: nel volgere di poco tempo siamo passati dall’idea della “famiglia istituzione” – fondata sulla scelta dei coniugi, socialmente regolata per gli scopi statutari, per il mantenimento del patrimonio, per l’educazione dei figli – alla “famiglia nido caldo di affetti e sentimenti”. Due aspetti, che non si elidono, non si escludono, ma sono entrambi necessari e complementari.

… Se giustamente siamo contenti di esserci lasciati alle spalle un modello matrimoniale nel quale ci si poteva anche sposare senza amore, davvero non ci consola però di constatare oggi come spesso ci si ama senza sposarsi, cioè senza una chiara e decisa e voluta scelta, una decisione che chiama in causa la chiarezza delle ragioni e la forza della volontà altrettanto quanto lo slancio dei sentimenti… Ebbene, la testimonianza di Anna Maria è anche sotto questo aspetto singolarmente esemplare. La sua vita matrimoniale esprime un rapporto di alta e intensa tonalità affettiva. Oh! quattrocentocinquantasette lettere in tre anni di fidanzamento… [In esse] c’è tutta la freschezza, la tenerezza dell’affettività di una donna verso un uomo e viceversa. Questo è molto bello; è proprio questo codice affettivo, che – ripeto – è proprio uno dei doni preziosi del nostro tempo. Però, però, quanta saldezza, quanta tenacia, quanto vigore e quanta “rocciosità” in quell’amore! … È bello vedere nella corrispondenza di Anna Maria questo elemento così intensamente affettivo ma anche questa forza, questa forza di scelta, di volontà, di decisione. Traspare nitida, allora la consapevolezza che l’amore è certo un affetto, un essere colpito (affectus) nelle fibre più profonde dell’emotività e del cuore, ma che tutto ciò è solo l’anticipazione di un senso, che potrà inverarsi solo all’interno di una decisione forte e limpida della volontà. Il sentimento – come dire? – tira la volata all’amore, che poi diventa scelta, decisione. Una decisione e una scelta capaci di stare e di alimentarsi anche qualora l’onda del sentimento dovesse per un momento attenuarsi. Lettera di fidanzamento dell’agosto 1959, dove dice: «… migliorare me stessa per poter essere degna di te». Questo è l’amore, non solo l’ubriacatura del sentimento.

Di questa tenacia dell’amore, mi ha colpito soprattutto la sua capacità di suscitare positività, anche nei passaggi più penosi e scorbutici della vita, quando l’afflato del sentimento non ti sorregge più, anzi, la pesantezza del vivere ti opprime. Ebbene, è bello vedere in questi casi emergere lo slancio tenace della volontà, che forza la gabbia della tristezza e origina intorno a sé la limpidezza e la semplicità dell’amore. Cioè, se l’amore è soltanto sentimento, quando non ce l’hai non ti muovi più; se invece è decisione, tenacia, anche nei momenti difficili ti attivi per suscitare positività attorno a te.

Due grandi radici spirituali

Bene. Allora: la semplicità della fede, la tenacia dell’amore. Mi sembra interessante, a questo punto, cercare di collegare queste due caratteristiche di Anna Maria a quelle che sono state certamente le due grandi radici spirituali della sua esperienza, le due grandi scuole – diciamo così – di spiritualità, che hanno nel tempo forgiato, cesellato la sua fisionomia spirituale.

 

  1. I gruppi di Spiritualità familiare

In primo luogo, non in ordine cronologico, i gruppi di spiritualità familiare, prima in un gruppo parrocchiale a Milano, poi con don Antonio Corti, infine l’Equipe Notre-Dame. Quella dei gruppi familiari per Anna Maria è sempre stata una scuola di vita cristiana fondamentale, per affinare, alla luce della fede la qualità di logo_endun’esperienza personale e familiare, dove imparare a vivere la fede in due, non più uno soltanto. Lo dice nel quaderno di traccia, marzo 1971: «… La mia era una vita spirituale privata, ora la mia e quella di Paolo sono una vita spirituale sola. È molto più bello. » Questo è il frutto di un cammino spirituale coniugale. La fede di Anna Maria, la sua capacità di alimentare il senso religioso e soprannaturale del matrimonio e della famiglia si è fortemente irrobustita, soprattutto attraverso il cammino delle Equipes Notre-Dame. E un dono grande, questo del nostro tempo, dei gruppi di spiritualità familiare. Forse le parole di Gesù “Quando due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” vanno prese terribilmente sul serio perché è solo in un cammino fraterno e condiviso che la fede matura compiutamente e che lo Spirito del Signore regala doni e intuizioni formidabili ai suoi discepoli.

  1. Lo scoutismo cattolico

L’altra radice della spiritualità di Anna Maria è certamente lo scoutismo cattolico. Da quest’esperienza Anna Maria ha saputo trarre molteplici spunti di forgiatura di quella forza e di quella tenacia, di quella capacità di scelta e di decisione che abbiamo visto essere peculiari della sua vicenda coniugale e familiare. Attingendo probabilmente soprattutto da questa radice, vorrei provare a tratteggiare alcuni aspetti della sua figura: la capacità di gerarchizzare le scelte, lo spirito di adattamento, la spiritualità della strada, la cura del particolare, il sorriso ed il servizio.

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In primo luogo la capacità di ordinare e gerarchizzare le scelte, quasi una disciplina militare, per lasciarsi attrarre da ciò che è vero e giusto più che da ciò che solletica la comodità o il gusto. Questo è un elemento tipicamente scout, lo dice il libro (a pag.27): dallo scoutismo Anna Maria ha preso un indirizzo corretto e un ordine rigoroso per i suoi sentimenti; ogni elemento al suo posto: famiglia, scoutismo, studio…

Una seconda caratteristica: lo spirito di adattamento. Lo dice lei stessa, nella lettera del 27 settembre 1959, che lo scoutismo le ha insegnato tra le tante cose “… uno spirito di adattamento formidabile”: uno spirito di adattamento più volte verificato poi dalla vita. Non so quante spose sarebbero andate a sposarsi col ginocchio ingessato, senza fare tanti drammi, ma zoppicando allegramente la marcia nuziale, se c’è stata. E la prima casa, a Milano, la giovane coppia la inaugura “s-coppiata”: ci va solo Paolo, perché lei, di ritorno dal viaggio di nozze, va direttamente in ospedale, proprio per la questione del ginocchio. Spirito di adattamento. A Milano, senza parenti, senza amici, senza impegni: spirito di adattamento.

Terza cosa: la spiritualità della strada, cioè la vita pensata in una dimensione vocazionale, come percorso da trovare, anzi, come percorso che Dio apre e io scopro. Dio che apre la strada talvolta nel deserto; addirittura, ci diceva la liturgia quaresimale di qualche settimana fa, che Dio ci apre un sentiero nel mare. Ecco: la spiritualità della strada è proprio questa capacità di vedere la vita così: dove devo andare adesso? quale strada il Signore mi sta aprendo? perché io viva “seguendo la segnaletica interiore dell’Amore” espressione bellissima di don Alberto Mandelli riportata nel libro a pag. 170.

La strada è anche, nella vita di Anna Maria, l’idea della semplicità, della pazienza, del dire: “Guarda, comincia a fare un pezzettino, quando sarai in fondo al pezzettino, vedrai un altro pezzo di strada e farai quello, e poi un altro, e poi un altro e poi un altro… Non pretendere di sapere tutto da qui alla meta. Certo, conosci dove parti, sai dove vuoi arrivare, comincia a fare un passo”. Quindi la strada come semplicità e pazienza, come “capacità di fare con convinta precisione passo dopo passo, senza cedere all’ansia e senza strafare’ (sto citando una testimonianza riportata nel libro a pag. 27).

Ancora: la cura del particolare. Dice nella lettera del 17 gennaio 1962: «…rimanere fedeli allo spirito scout e allo stile scout anche nelle piccole cose, quali la cucina quotidiana, l’arredamento della casa, l’uso del tempo libero» …

Il sorriso, poi; il sorriso sempre: anche qui, forse, memore di quell’articolo della Legge scout, secondo il quale “lo scout e la guida sorridono e cantano anche nelle difficoltà”. Il sorriso di Anna Maria non era soltanto un’espressione facciale, era un’espressione spirituale… era anzitutto “il sorriso degli occhi”… “una luminosità speciale”. Dal sorriso di Anna Maria – che, a chi non l’ha conosciuta, è dato di vedere nelle sue fotografie – emerge proprio la trasparenza dei puri di cuore, quelli che, secondo le beatitudini evangeliche, vedono Dio, non perché abbiano le visioni, ma perché hanno lo sguardo puro e quindi hanno uno sguardo luminoso, intenso, sulla realtà, sugli avvenimenti, sulle persone…

Ultimo elemento che tratteggio è quello del servizio. Il servizio che è un po’ la consegna finale che la pedagogia scout affida a chi ha percorso l’intera trafila educativa e si affaccia così all’età adulta e matura. Il servizio che nella vita di Anna Maria ha voluto dire almeno tre cose. La prima è la disponibilità umile a darsi da fare dove c’è bisogno. Secondo: un servizio che significa capacità di accoglienza e di ospitalità, che è un tratto costante della vita di Anna Maria, fin da quando, in prima Ragioneria, si rivela accogliente e ospitale verso Gabriella Foa, che era l’unica ebrea tra 38 compagne. Poi ovviamente l’accoglienza del dono della vita; l’accoglienza verso i nonni, nella casa; l’ospitalità data a varie persone in difficoltà; tutta la trafila laboriosa dell’accoglienza delle figlie adottive; l’accoglienza, come vi dicevo all’inizio, del seminarista Alessandro, di cui in qualche modo si è occupata. Ecco: il servizio è questo: capacità di accoglienza e di ospitalità. Ma il servizio è anche – terzo aspetto – magnanimità, ossia un’anima grande, un cuore grande.

 

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Mons. Angelo Riva

E qui, concludendo, mi prendo la licenza – e chiedo perdono per questo – di interpretare in questo modo, ossia nel segno della magnanimità, la morte improvvisa di Anna Maria. La diagnosi parlò di “tamponamento del cuore per una pericardite acuta”: il muscolo infiammato, stretto entro la membrana non elastica del cuore, ha come chiuso, soffocato il cuore. Mi si conceda questa licenza di interpretazione: un cuore grande che non poteva essere contenuto in spazi angusti e ristretti, ma anelava a traboccare oltre se stesso. Nella morte di Anna Maria c’è quasi un segno pasquale, quasi un frammento di risurrezione, se noi siamo qui oggi a ricordarla. Il segno pasquale è proprio questo: in quel cuore chiuso ma che forza la propria gabbia, c’è quasi il segno dell’amore che forza la barriera della morte, l’amore che si slancia oltre il limite, l’amore che trasforma la perdita in vita. Nella sua morte, Anna Maria ci ha lasciato un segno, un’immagine di quella che è stata la sua vita.