Accoglienza e ospitalità

Per Anna Maria era essenziale che la famiglia fosse aperta al prossimo; e di conseguenza ella visse cercando di mettere in pratica quel principio, sempre con intelligenza e misura: non ho mai notato esagerazioni o esaltazioni nei suoi slanci di generosità. Molti si stupivano per tutto ciò che riusciva a fare, è vero, ma lei faceva soltanto ciò che sapeva di poter fare, con l’aiuto di Dio; ripensando in modo analitico alla sua vita, non vedo opere abbandonate per cedimento della volontà o incompiute per mancanza di mezzi o di tempo (se si eccettua un golf ai ferri per me, interrotto a metà schiena; ma questo è risibile). Anna Maria aveva veramente una fiducia grande nel Signore, che le dava forza e coraggio. «Il coraggio – diceva – deriva dalla consapevolezza di essere in braccio alla Provvidenza». In braccio, ma non oziosi, bensì operosi e attenti alle necessità del mondo intorno a noi.

Mi pare che proprio questo coraggio e questa fiducia siano stati la condizione ideale per cui anche la nostra casa poté essere materialmente aperta (non soltanto il cuore aperto ad atti di generosità magari impegnativi ma esterni al nostro spazio privato). Anna Maria apriva la sua casa con entusiasmo e semplicità, offrendo ciò che poteva senza complimenti, e anche senza vergogna se ciò che poteva offrire era al di sotto delle attese e dei meriti degli ospiti.

Un episodio significativo, del quale l’amico Giannino Pozzoli chiede notizie a Paolo.

È una storia di inizio 1977. Siamo sette in famiglia, perché Antonella non è ancora arrivata tra noi. Anna Maria ha 39 anni, io 43, le quattro figlie da 13 a 6, la nonna 80. Un giorno Anna Maria incontra per strada un nostro amico trentenne, Giulio: un insegnante, scapolo, unico figlio di una vedova già avanti negli anni, ricoverata in ospedale da parecchio tempo. Gli chiede notizie e si sente rispondere che proprio il giorno dopo la madre sarebbe stata dimessa, ma che avrebbe dovuto tenere il letto ancora per qualche settimana. Giulio è preoccupato perché, dice: “…io non so far niente in casa!”.

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La famiglia al bivacco Bottani-Cornaggia in Valtellina

Anna Maria non esita un istante e gli offre ospitalità presso di noi per tutto il tempo della convalescenza. Dove si vive in sette, si può ben stare in nove; basta una piccola rivoluzione nelle camere da letto e l’aggiunta di due brandine: un gioco per le piccole, una fatica gioiosa per chi sente risuonare in cuore le parole di Gesù: “Ero forestiero e mi avete ospitato, malato e mi avete visitato” (Mt 25, 34s). Anna Maria non ha esitazioni, non prende tempo con la scusa di dovermi consultare; sa che tra noi c’è una perfetta intesa, una splendida comunione di spiriti. E non c’è da sentire prima la nonna, in quei giorni in vacanza presso mia sorella.

Il giorno appresso Anna Maria va a prendere in ospedale Giulio e la madre malata e li accompagna a casa nostra. E qui, nei due mesi e mezzo della loro presenza tra noi, si esprime il meglio di Anna Maria, perché non si limita a farsi carico degli ospiti come padrona di casa e infermiera. No, insegna all’amico a fare il bucato, a stirare, a pulire la casa, a fare la spesa e a cucinare: almeno quel tanto indispensabile affinchè sappia poi cavarsela da sé e badare anche alla mamma, anziché esserle di peso. E intanto ascolta confidenze e crucci, e trasmette messaggi di speranza; e con l’esempio insegna la semplicità e il sacrificio a me e alle figliole e ci fa capire la bellezza del dono di sé: gratuito, gioioso, quotidiano.

Giulio e sua madre sono ancora con noi, quando si presenta la necessità di ospitare per una settimana una bimba, per un’assenza improvvisa dei genitori. Così da nove passiamo a dieci; e Anna Maria è per tutti disponibile, vigile e sollecita: stanca ma sorridente.

Un altro episodio emblematico della generosità di Anna Maria

in montagna 1988
Anna Maria al Rifugio Omio in Valmasino

Un giorno, nella sala d’aspetto del dentista, Anna Maria incontrò una ragazza spastica di 16 anni, piena di paura; le fece coraggio e s’interessò a lei, offrendole amicizia e aiuto. Oggi (1999) Anita Riva è una donna matura, che racconta: «Dopo quell’incontro dal dentista Anna Maria cominciò a venire a trovarmi ogni tanto. Fino allora io stavo sempre chiusa in casa, perché la gente mi considerava come una malata mentale. Anna Maria mi portava in chiesa, mi accompagnava un po’ in giro, ma soprattutto mi dava speranza; mi aveva detto: “Ti aiuto io”; così io cominciai ad aprirmi a lei; le confidavo tutto e Anna Maria mi dava consigli grandiosi; mi confortava quando mi vedeva triste, era sempre disponibile, mi incoraggiava, mi istruiva. Era come una mamma. Avevo fatto le elementari alla Nostra Famiglia ed ero poi rimasta in istituto senza far niente fino all’età di 14 anni. Anna Maria mi convinse a riprendere gli studi e col suo aiuto in un anno mi preparai per gli esami di licenza media e dopo altri tre presi il diploma di segretaria d’azienda. Così potei affrontare la vita del lavoro come impiegata, con sicurezza. E la gente mi accolse. Senza Anna Maria sarei ancora qui chiusa in casa come una scema. Con lei la mia vita è cambiata. Devo ringraziare il Signore che l’ha messa sulla mia strada».